La Bot Room è la stanza dove rinchiudiamo ogni tanto qualcuno da uno dei nostri rami – autori, illustratori, grafici, editor, project manager… – per quattro chiacchiere informali, più o meno! Oggi tocca a Daniele Nicastro! Tutte le interviste nella Bot Room QUI.
[Intervista a cura di Martina Sala]
Lo chiamo per telefono. Evvai, risponde! Ultimamente, trovare Daniele è un’impresa, impegnato com’è con incontri con le scuole, laboratori e letture in biblioteca. Ma questa volta siamo fortunati. Ed è con un sorriso e voce squillante che iniziamo l’intervista. Pronti a bombardarlo di domande?
Rompiamo il ghiaccio con una domanda difficile. Cosa significa per te letteratura per ragazzi?
[Ride] Quando dico che scrivo per ragazzi, la gente pensa che io scriva “fumetti” o “favole”. Oppure mi capita di sentire qualche aspirante scrittore dire che, per imparare il mestiere, parte con qualcosa di “facile”, ovvero un libro per ragazzi. No! Per me la letteratura per ragazzi è letteratura, punto. Chi la sottovaluta sbaglia. Anzi, è persino più complicata di quella per adulti. Infatti il pubblico è spietato: se si annoiano, i ragazzi chiudono il libro dopo 3 pagine! Però, per me, è il pubblico più stimolante, perché i ragazzi possono cambiare il mondo, e il libro giusto può fare la differenza. Può ispirarli. È anche vero però che io scrivo anche per me stesso, perché ancora non ho capito del tutto chi sono e chi voglio diventare. Lo scopro una storia alla volta!
Concordo! Parlando di crescita, passiamo alla collana “Quelli della Rodari”. Da dove hai preso ispirazione per il tuo personaggio Ronnie Rondella?
Da un libro di educazione emotiva. Parlava di quanto è difficile preparare un figlio all’arrivo di un fratellino. Io sono figlio unico, ma immagino sia un trauma! È come se tuo marito venisse a casa e ti dicesse che vuole una seconda moglie. Come la prenderesti?
Malissimo!
Esatto. Allora ho cercato di ricreare una situazione del genere con un personaggio speciale, che fa di una debolezza il suo punto di forza: è il bambino robot!
Oltre a Ronnie Rondella, hai scritto molti altri libri. Quello a cui sei più affezionato?
[Ci pensa un attimo] Non saprei, in realtà sono legato a tutte le storie che ho scritto, anche a quelle da ghostwriter. È vero però che in Grande c’è molto della mia vita, della mia Sicilia. E soprattutto c’è la mia rabbia adolescenziale. Ogni libro per me è collegato a un ricordo diverso!
Qual è l’aspetto che ti piace di più dell’essere uno scrittore?
Per me è il lavoro più bello del mondo. Insieme a qualche altro, tipo il sommelier della birra.
Ah ah, quello vorrei farlo anch’io!
A un certo punto della mia vita ho capito che dovevo fare questo, qualsiasi altro lavoro sarebbe stato solo per le bollette. Ogni giorno scopro cose nuove e a volte viaggio restando seduto alla mia scrivania. Di recente, sono stato in Lapponia senza spendere neanche un euro.
Quando eri piccolo, hai mai pensato di fare questo mestiere?
No, ma volevo scrivere un fantasy. Ne ho iniziati almeno dieci, mai finito uno.
Perché il fantasy? Era il tuo genere preferito?
In realtà leggevo di tutto: classici, fantasy e soprattutto romanzi per adulti. Avevo fretta di crescere. La mia miglior amica era Carmen la bibliotecaria. Poi, a un certo punto, ho preso in mano i libri David Almond e Roald Dahl e, bam, ecco l’illuminazione.
C’è un autore in particolare che ti ispira?
Sono tanti. In realtà non mi fisso mai su qualcuno. Posso dire che Lemony Snicket ha influito sulla mia capacità di giocare con le parole, David Almond mi ha formato nel trattare l’immaginifico nella vita reale e Patrick Ness mi ha insegnato che bisogna osare e trattare temi difficili.
In Grande hai osato parecchio, parlando di mafia.
Sì, è la mia prerogativa di scrittore. Mi piace scrivere anche cose divertenti, ma quello che mi importa di più è andare alla radice dei problemi. E poi parlarne con i ragazzi è fantastico, loro vogliono parlare di cose serie, non vedono l’ora!
So che tua moglie ti segue sempre nelle tue attività: come ti supporta?
Oh, lei rende tutto più facile. Pensa che prima di conoscermi non aveva quasi mai letto un libro. Poi, piano piano, si è appassionata e ora legge più di me! È grazie a lei se riesco veramente a concentrarmi sulle storie. Mi incoraggia quando sono giù, pazienta quando sono via… E quando viene con me è una festa!
Come scrivi? So che Hemingway si imponeva un regime molto rigido di scrittura: si alzava presto e scriveva per almeno 4-5 ore tutti i giorni. E tu?
Faccio come lui. L’abitudine mi apre la mente, mi permette di scrivere in tempi brevi anche se ho giornate no, anche se non sono veloce come certi colleghi. Metodo. E poi lavoro, tanto lavoro.
Quando incontri le scuole, qual è la domanda che i ragazzi ti rivolgono più spesso?
La domanda di rito è: “Quanto impieghi a scrivere un libro?” Un classico. Poi, quando riesco a stabilire una connessione, cominciano a chiedermi quanto di me c’è nel libro, se questa o quell’altra cosa sono reali. Esagerano pure. La cosa che mi piace di più è che incontrare i lettori ti ricarica le batterie. Solo loro ti danno la forza di andare avanti e tornare alla scrivania a scrivere per ore e ore e ore.
Ultima cosa. Il tuo sogno nel cassetto?
[Non lo vedo perché siamo al telefono, ma so che ha fatto un sorrisone]
Scrivere il mio GRANDE ROMANZO! Non so ancora di cosa parlerà… ma sarà il libro in cui racconterò tutto quello che ho da dire! E lo dirà in un modo che mi spingerà a chiedermi: ma… l’ho scritto proprio io? Prima o poi ci riuscirò!
Ne sono sicura al 100%. Intanto, in bocca al lupo! Ciao Daniele!
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